Cosa significava andare in bancarotta

C’era un tempo in cui chi andava in bancarotta doveva far ammenda davanti al popolo, in pubblica piazza. Ma la cosa non era poi così semplice, non ce la si cavava con un “Vi chiedo umilmente perdono” e la confisca di qualche mobile. La pena era un tantino più severa e decisamente umiliante.
...E si tratta anche di una cosa antica. Antica di un paio di millenni!
Ve la racconto.


Nell’Antica Roma chi andava in fallimento e non poteva saldare i propri debiti poteva essere ucciso o ridotto in schiavitù da parte dei propri creditori. Questo era quanto previsto da una delle Leggi delle XII Tavole. Si parla appunto del 450 a.C.  …Tempi antichi.
Poi arrivò Giulio Cesare a modificare questa legge troppo severa. Introdusse la cosiddetta “pietra del vituperio”, che poi non era una soluzione molto più leggera. 
I debitori infatti che avevan dichiarato la bancarotta non potevano più essere puniti dai loro creditori, ma venivano portati al Campidoglio, dove li aspettava una grossa pietra, su cui era scolpita la sagoma di un leone. Lì venivano denudati dalla cintola in giù e, così ridotti alla pubblica umiliazione, dovevano sedersi sul grosso pietrone e urlare la frase “Cedo Bona” o “Cedo Bonis”, dichiarando pubblicamente in questo modo di cedere tutti i propri averi ai banditori d’asta.
La cosa non finiva qui: recitata la frase di cessione, erano costretti ad alzarsi e buttarsi violentemente a sedersi di nuovo sulla pietra. Non una, non due, ma tre volte.
Non venivano più uccisi o schiavizzati, ma di sicuro non ne uscivano illesi, né nel corpo, né tantomeno nello spirito.

Questa pena era praticata in tutto l’Impero.
Troviamo pietre del vituperio nella storia di tutte le città italiane. Erano anche chiamate pietre dello scandalo, pietre dell’infamia o dei fallimenti.
In ogni città la legge veniva applicata con sfumature differenti, e nel tempo cambiò di modalità, ma non di sostanza.
Nell’epoca medievale a Firenze, ad esempio, la pietra dello scandalo era un mosaico di lastre di marmo, posto al centro della pavimentazione della Loggia del Mercato. La procedura di esecuzione era la medesima esposta poc’anzi, ma aveva una piccola variante. Il malcapitato debitore non era lasciato libero di buttarsi da solo con le natiche sulla pietra: veniva legato per la cintola o le braccia ad una catena, sollevato da terra e lasciato a cadere miseramente più volte. La pietra fiorentina è infatti conosciuta anche come “pietra dell’acculata”.


Procedura simile a quella fiorentina la si ebbe nella nostra Torino, ma prima di usare la pietra, il condannato veniva sbattuto più volte si una panca di legno, fino a che questa non si rompeva. Con ogni probabilità nasce qui la parola “bancarotta” con il suo significato di fallimento economico.
E dopo la panca frantumata arrivava la pietra.

La pietra dell’infamia a Torino era posta nei pressi della antica Torre Civica demolita nel 1801 di cui vi ho parlato in questo articolo. La pietra venne rimossa solo nel 1853.
Della condanna dei debitori si parla nel testo “Torino e le sue Vie”, il cui autore Giuseppe Torricella nel 1868 scrisse “[…] si esponevano nei giorni di mercato e specialmente nel sabato, i condannati alla pubblica berlina. Altra stranissima costumanza ci rammenta questa pietra: i negozianti che facevano bancarotta erano costretti di sedersi e, più propriamente, di battere il nudo deretano sulla pietra in presenza del pubblico, che numeroso assisteva a questo scandaloso castigo".
Il dipinto di Olivero presente in questo articolo raffigura in modo abbastanza eloquente l'esecuzione della pena vicino alla Torre Civica di Torino nel giorno del mercato, con la folla che assiste coinvolta.

Da questa pratica nascono non pochi modi di dire e detti popolari famosi e usati in tutta Italia, come ad esempio (e perdonatemi fin d’ora le volgarità che andrò citando): restare in braghe di tela, avere il culo a terra e andare a ramengo.
Quest’ultima frase ha una sua storia particolare. Nasce infatti dalle vicende di un ducato longobardo in cui si aveva l’usanza di confinare nel comune più distante dalla capitale i condannati per reati relativi al patrimonio. Il comune in questione si chiamava Aramengo e quel costume rimase anche quando il ducato longobardo passò ai Savoia. Andar a Aramengo, significava essere finiti in bancarotta. Ovviamente il paese c'è ancora e porta ancora lo stesso nome di un tempo. Si trova nell’astigiano, sulla strada per Torino che collega Asti a Chivasso.

In Piemonte abbiamo altri termini e detti che si rifanno a questa esecuzione: “a l’é andàit a dè dël cul sla pera” (è andato a dare il deretano sulla pietra), “andé dël cul” (andare a dare il sedere).
Del resto… stiam parlando della pietra del vituperio, la “Pera Culera” di Torino!

Elisa Creaidee

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